Ma era pur sempre la Cima XII, la più alta di tutte, che da ragazzo pensavo di salire (….)

Era il 1936 e non avevo ancora 15 anni, in due partimmo da casa alle tre di notte e venne l’alba quando arrivammo al bivacco dei pastori presso Bivio Italia. Da lì, senza allungare per la mulattiera dei Cuvolini, prendemmo il sentiero delle Caneve e risalimmo diritti per il canalone che guarda a sud. Fu grandissima la nostra emozione quando giungemmo a scorgere l’abisso della Val Sugana e la cerchia delle Alpi dal Cevedale alle Pale di San Martino: ma ancora altre montagne oltre queste, e poi verso sud le pietraie del nostro Altipiano con molto evidenti i segni delle grandi battaglie non ancora coperti dai mughi, e tronchi di larici secchi. Era un mondo oltre il nostro orizzonte: questo vedevamo da lassù”

Da “Dentro la memoria” (a cura di Giuseppe Mendicino, Meridiani Montagna), “Sul calesse di mio padre”

Sul finire dell’autunno, anche mio autunno, assieme al nipote settenne volli ancora una volta salire alla Cima delle Dodici. La giornata era limpida e fredda e nei postemi restavano ancora lenzuola di neve gelata (…) I solivi invece erano liberi e giallastri per erbe secche e grigi per rocce dilavate (…) Nei tempi antichi e fino all’Ottocento, per noi dell’Altipiano, questa montagna, che è la più alta, era dedicata a Freya, sposa di Odino e dea della fertilità, nascita e morte, e che “godeva della poesia amorosa”; ed era chiamata Freyjoch, montagna, giogo di Freya.”

Da “Amore di confine”, “Sfida a Cima XII”

Il contesto

Il primo brano è tratto dall’introduzione al libro di G. Balzani e F. Gioppi, “Alpi di mezzogiorno. Storie di uomini e confini tra Valsugana e Altipiano” (Euroedit, Trento 2001), e parla dei primi approcci di Mario bambino alle montagne, restituendo lo spirito vitalista e avventuroso che aveva animato tutta la sua adolescenza.

Nel secondo brano, settembre del 1984, lo scrittore ha invece 63 anni, e delinea con bonaria ironia una vicenda dei primi anni del ‘900, quando attorno alla cima più alta dell’altopiano si sviluppò un pittoresco conflitto fra gli irredentisti italiani e gli austriaci, che allora presidiavano il versante trentino: ai blitz degli uni, che issavano tricolori e dipingevano di bianco, rosso e verde la croce della vetta, corrispondevano gli interventi riparatori degli altri, conditi di benedizioni dei rispettivi parroci e di ridicole relazioni burocratiche dei funzionari confinari.
Il racconto rivela quale fosse l’atteggiamento di Rigoni Stern verso queste beghe di confine: quello di pastori, cacciatori e contrabbandieri che “non se ne curavano e (…) continuavano le loro attività come avevano sempre fatto. Quella montagna restava Freyjoch o Cima delle Dodici e l’antico e il nuovo esistevano insieme (…)”
Poi però venne la Grande Guerra e “da ogni parte dell’Italia sabauda e dell’Impero asburgico vennero qui gli uomini a morire a decine di migliaia. Ancora ogni tanto affiorano le ossa spezzate.

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