Tutto l’Altopiano di Asiago e le sue montagne possono essere paragonati a un enorme museo storico all’aria aperta della Prima Guerra mondiale.

L’Altopiano  di Asiago, prima ancora  dello scoppio delle ostilità, era stato “preparato” per sostenere un conflitto  con le nazioni confinanti. Sebbene Italia e Austria fossero legate fin dal 1882 da un patto di alleanza, già nel 1908 era infatti iniziata l’opera di fortificazione lungo  il confine italo – austriaco con la creazione di quella che verrà chiamata la “cintura corazzata degli altopiani“. In particolare sul territorio dei Sette Comuni, o  nelle adiacenze, gli italiani innalzarono i forti Corbin, Campolongo, Verena e Lisser, a  cui risposero gli austriaci con i forti Luserna, Verle e Spitz di Vezzena.

L’inizio delle ostilità: la guerra dei forti

All’inizio delle ostilità, avvenuto il 24 maggio del 1915 con il primo colpo di cannone sparato dal Forte Verena, prendeva il via La Grande Guerra sull’altopiano, conflitto che, per i primi due mesi, fu soprattutto una “guerra dei forti“. Il Forte Verena ebbe un iniziale ruolo di dominatore ma ben presto gli austriaci fecero salire sull’altopiano pezzi di  artiglieria di tale gittata e potenza che a nulla poterono le fortezze italiane. Nel giro di pochi mesi, infatti, furono disarmate e abbandonate.

La guerra  dei  soldati e la  Strafexpedition

Iniziava a questo punto la guerra dei soldati, fatta di lunghe e mortali attese nelle trincee e di attacchi  inutili e suicidi. I primi furono  quelli condotti nella Piana del Vezzena, dove due successivi attacchi italiani furono facilmente respinti dagli austriaci. All’inizio del 1916 il comando austroungarico decise di passare all’attacco dando il via all'”offensiva di primavera”, ricordata con il nome di Strafexpedition, la “missione punitiva” contro il traditore italiano.
L’esercito austroungarico sfondò le linee italiane in Val d’Assa raggiungendo la conca centrale  dell’altopiano e dando il via all’esodo delle popolazioni locali. La linea difensiva italiana arretrò molto, attestandosi in alcune zone, come al Monte Cengio e a Cima  Pau, proprio sull’orlo dell’altopiano.

L’Operazione K nel 1917

Ma il vero dramma si consumò l’anno successivo, il 1917, quando  i comandi italiani  decisero  di  recuperare posizioni lanciando una controffensiva in grande stile. Su dava il  via alla tristemente famosa “Operazione K”,  che conobbe il  suo punto  più  drammatico nella battaglia dell’Ortigara. In questa persero  la vita migliaia di soldati  italiani, circa 28.000, a  fronte di conquiste territoriali irrilevanti.
In seguito allo sfondamento austriaco a Caporetto, l’esercito italiano si ritirò nuovamente dalle sue posizioni, resistendo inizialmente lungo la linea Fior- Castelgomberto per poi arretrare oltre la Val Frenzela. Qui tre modesti rilievi, il Valbella, il Col del Rosso e il Col Ecchele (da allora chiamati i Tre Monti), rappresentarono l’ultimo caposaldo italiano prima  della completa disfatta. Ma lo sforzo bellico austriaco era stato eccessivo e le risorse erano ormai allo stremo. Dopo un’eroica resistenza  all’ultimo grande attacco austriaco del 15 giugno 1918, l’esercito italiano riconquistava i Tre Monti e  dava il via a un grande contrattacco. La guerra era ormai alla fine e di lì a pochi mesi, con la battaglia del Piave, si giungeva all’armistizio del 4 novembre 1918  che poneva fine alle ostilità.

Di  questo sconvolgente periodo l’altopiano porta ancora rilevanti tracce, soprattutto nelle zone dove più aspri e prolungati  furono i combattimenti. Montagne  sbriciolate dalla potenza di cannoni e mortai, lunghe trincee che percorrono crinali e vallate, possenti ruderi di fortificazioni, centinaia di chilometri  di strade sterrate  che permettono di raggiungere anche i luoghi più impervi. Ma i segni lasciati sul territorio  perdono  di significato se non si pensa sempre a  chi, in quei luoghi, perse la vita. La vera  anima cruenta del conflitto  la si può quindi ritrovare nelle decine di piccoli cimiteri disseminati  su tutto l’altopiano,  nelle molte lapide innalzate per  ricordare gesti e operazioni eroiche, nel piccolo, ma ricco Museo della Grande Guerra di Canove, nell’imponente  Ossario di  Asiago, innalzato sul  Laiten, che ospita i resti di 19.900 soldati austroungarici e di ben 34.286 caduti italiani.